*SENZA CORNICE
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(…)Questi graffiti qui raccolti, sono chiaramente impudichi, cioè sono espressione di individui, anonimi, che o non hanno pudore di sé, o lo hanno superato. Perché? Forse l’anonimato fa cadere le barriere del pudore?
Problema per i psicologi.
Perché il bisogno di rendere pubbliche, sia pure in case diroccate, rifugio di irregolari, queste trasgressioni?
Problema per i sociologi.
Essi, sociologi e psicologi, ben conoscono la griglia generale della casistica teorica, ma può darsi sia loro sfuggito il caso specifico di Lecce e del suo suburbio; questo libro-documento è una proposta di studio e di analisi.
Ai non specialisti che si imbatteranno in esse, queste pagine, svelano un risvolto di esistenza, che riflette un’angolazione del costume mentale, non esaltante certo, del quale prenderanno cognizione.
Ennio Bonea
Pornografia in graffiti
In C. Gerardi “Senza Cornice”
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(…) L’attenzione per i graffiti è ricorrente a partire dall’ormai classico libro “Graffiti” di Brassai del 61. Ma il lavoro della Gerardi presenta una novità: la loro contestualizzazione. Ci fa vedere, cioè, gli ambienti e i paesaggi dove questi segni crescono e si accumulano con la stessa inesorabilità dei fatti naturali.
(…) I graffiti sono l’espressione immediata di una situazione esistenziale che tenta di forzare l’opaca resistenza del mondo, che rifiuta l’esistenza di luoghi privilegiati e che di tutti i luoghi si appropria in un’unica, enorme dilatazione del desiderio.
Franco Vaccari
In C. Gerardi “ Senza Cornice”
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(…) Il merito di Caterina Gerardi e della sua sorprendente documentazione fotografica sta nell’aver compreso nel giusto senso questa sorta di aspetto “sacro” assunto dai luoghi in virtù di tali particolarissime immagini, di questi segni fortemente cifrati e codificati. Non li ha interpretati, giustamente, come luoghi dell’eros; né li ha chiamati, come chiunque avrebbe potuto fare (a patto di collocarsi oltre quel limite, nella zona del lecito e dell’ordine costituito), pornografia.
(…) Caterina sa che la macchina fotografica, se usata con il dovuto rispetto, senza forzature estetiche quindi, e neppure ideologiche, si fa strumento docile tra le mani e capace del rispetto altrui: può e sa guardare per esempio - e fissare - e memorizzare - e mostrare - ciò che l’occhio evita o la coscienza rimuove, per paura o perché inadeguata a rivelarsi e a scoprirsi.
Violente nella loro natura queste immagini scorrono qui, nel libro ed in mostra, docili come non mai, perfino discrete. Non urlano trasgressioni, documentano un rito (…)
Titti Pece
In “Lecce For You”
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(…) I pornograffiti raccolti da Caterina sono di uno squallore e di una noia infinita.
Per i luoghi fuori mano e i momenti in cui sono stati eseguiti non si può parlare di trasgressione.
Quasi tutti opera di uomini. Minima la percentuale di donne (autrici); ne ricordo solo una per un osceno invito.
L’autrice della raccolta, invece, ha, lei sì, operato una trasgressione. Secondo certi codici ancora operanti, nonostante anni di femminismo, questa sembrerebbe, per lo meno ai benpensanti, materia da uomini. Non si tratta di un film di Liliana Cavani, a cui il livello artistico dà cittadinanza fra gli uomini.
Con la sua opera l’autrice ha attraversato una frontiera, e questo, da un punto di vista femminile, è stato un atto di coraggio e un merito non indifferente.
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Giulia Stampacchia
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Cercare di restituire la dignità a coloro che ne hanno subito la privazione come una violenza, è stato l’intento di tanti artisti particolarmente sensibili e con forte senso di giustizia sociale. In questa categoria creativa va inserita e letta l’opera di Caterina Gerardi…]
[…L’artista leccese utilizza la macchina fotografica come fosse una penna per uno scrittore…]
[…Caterina attraversa anni di creatività frenetica e forse non totalmente cosciente, che solo da una decina d’anni trova sfogo nella realizzazione di mostre, come Senza Cornice del 1989. Questa interessante raccolta di “Pornograffiti” nei luoghi della degradata periferia leccese, già esprime l’intera poetica della fotografa…]
[…Per Caterina è fondamentale rendere chiaro il suo punto di vista sulla situazione fotografata ed evitare quella impersonalità caratteristica della foto di cronaca.
[…Consapevole che il filo conduttore della sua poetica traspare in tutte le foto, Caterina continua a rivolgere il suo sguardo su quella parte dell’esistenza comunemente rifiutata o declassata dalla vita quotidiana…]
Riccardo Argenti
La dignità dell’emarginato
In Qui Salento/ ARTE
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*DIETRO LE GELOSIE
(…) E allora se il riferimento alla Pop Art è risultato il più utilizzabile ai fini di una collocazione dell’opera di Caterina Gerardi, resta da definire in quale rapporto essa viene a trovarsi nei confronti di quella esperienza e dei suoi sviluppi attuali.
(…) Mentre la Pop Art, ma sarebbe più giusto dire una buona parte dell’arte contemporanea, si è mossa in questi ultimi anni verso il riscatto della materialità, dell’oggettualità, la quotidianità più ordinaria, la banalità del quotidiano, la serialità più anonima e ripetitiva della vita d’oggi, queste immagini ripropongono la negazione di tutto questo, di un mondo deserto di presenze vitali, di valori materiali, di oggetti….
Rina Durante
in C. Gerardi, “Dietro le Gelosie”
(…) In questo bel fotolibro tascabile si fa un paragone fra la gelosia e la fotografia, perché anche questa, in un certo senso, consente di guardare nel mondo senza essere visti.
(…) E’ senza essere visti che il mondo si vede ancor meglio, specialmente quando le fotografie sono del genere chiamato intimo.
(…) Anche le fotografie di “Dietro le Gelosie” di Caterina Gerardi sono “intime” ma solo nel senso che rappresentano interni di vecchi edifici abbandonati in rovina; stanze e stanzoni che un tempo furono vivi e adesso hanno l’aspetto mummificato dei cadaveri esumati da un terreno sabbioso dopo tanto tempo.
(…) Tutto ciò rende infinitamente interessante innanzitutto, Caterina Gerardi, eccelente fotografa, e poi le due donne che hanno scritto di lei, Ilderosa Laudisa e Rina Durante.
Ed anche l’ultimo, Franco Vaccari, che affronta coraggiosamente il confronto con le tre formidabili anguicrinite.
Ando Gilardi
In “Progresso Fotografico”
(…) Si è detto che si tratta di immagini molto provocatorie, che sovvertono gli schemi interpretativi del reale. Senza censure e pregiudizi, infatti, il marginale ed il degrado sono stati riletti e sublimati attraverso un’impaginazione estetica raffinata. Con la complicità delle luci e dei colori ne sono sortiti momenti di poesia, di straniante bellezza. Con rara sensibilità nei meandri di questi relitti sono stati seguiti e catturati i percorsi della luce; i filigranati disegni tessuti sui muri dal tempo, le armonie ed i contrappunti cromatici di forte suggestione evocativa.
In queste dimore della borghesia e del popolo, che abbandonate costituiscono una sorta di “buco nero”, che avvolge la città, la Gerardi ha ascoltato echi di suoni dimenticati, ha seguito tracce di riti ormai consumati.
Queste fotografie smentiscono ancora una volta la diffusa opinione che al colore sia preclusa l’astrazione, riconosciuta possibile solo al bianco-nero (...)
Ilderosa Laudisa
In C. Gerardi, “Dietro le Gelosie”
(…) Certo, c’è una specie di fascino annichilente che emana dall’inesorabile lavorio del tempo sulle opere degli uomini,.Tutto un genere pittorico di grande tradizione- quello delle nature morte e, in particolare, delle vanitas – trova in questo sentimento la propria giustificazione. E’ il fascino della Melanconia del Durer o dell’Angelus Novus di Benjamin che, voltandosi, vede la Storia come un campo di rovine.
Per gli Ebrei il mantenere vivo il ricordo di ciò che è stato è un dovere morale. Non possiamo certo dire che l’esercizio di questo dovere appartenga anche alla nostra cultura, occupati come siamo a perseguire il nostro interesse privato “su suolo pubblico”. Ma, ancora una volta, dopo l’esperienza dei graffiti, la Gerardi si dispone a raccogliere le voci dei dimenticati.
(…) Ancora una volta la Gerardi rimane dalla parte della marginalità, rifiuta le facili consolazioni, orgogliosa dell’indipendenza del proprio sguardo…
Franco Vaccari
In C. Gerardi, “Dietro le Gelosie”
(…) Accertata, ormai da tempo, la qualità del taglio estetico delle “fotografie in quanto arte” di Caterina Gerardi, con queste ultime proposte la fotografia salentina ci sembra voler dire che attraversando un limite imposto ci si pone nelle condizioni di non avere condizioni per percepire da infiniti punti di vista i luoghi e le cose della realtà. L’ “attimo fuggente” fermato da un clic consente di entrare in una dimensione spazio-temporale indefinibile perché “dietro le gelosie”.
Massimo Guastella
In“Quotidiano di Lecce”
Una fotografia singolare perché diretta alle cose “diverse” marginali, emarginate, alle cose senza apparente senso, o che si ritengono tali. Umanità marginale: barboni,zingari, gente di colore. La sua apparizione inizia nell’89 coi graffiti di Senza Cornice, mostra il libro che ha raccolto in anni di ricerca nelle case abbandonate del suburbio e della campagna, frequentate da ragazzi avidi di figurare sui muri le loro pulsioni; nel ‘93 con Dietro le Gelosie una serie costruita lungo la stessa ricerca, dove però, anche particolarmente attraverso il colore, si esalta la singolare suggestiva bellezza formatasi nel rifiuto, nell’abbandono di quelle stesse abitazioni. Bellezza della dissoluzione, dello sfacelo,……
La bellezza del “brutto” e banale, la magia di farla emergere.
Arrigo Colombo
In “ l’incantiere “
*LE FIGLIE DI TEUTA. Donne d'Albania
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(…) Davvero – pensavo guardando le foto – è troppo difficile. Per me, le donne del mio paese sono un po’ diverse da quelle che vedo qui. Ma… forse mi sbaglio: Forse mi sono abituata agli sguardi disperati, alle facce tristi, alle strade polverose dove si trascinano le gambe stanche delle donne dei nostri villaggi…
(…) Le donne di questo libro sono donne che vivono nel mio paese. Che lavorano, allevano i figli, senza che mai basti il cibo che gli danno… Donne che, quando arriva quell’attimo ultimo, il momento di chiudere gli occhi per sempre, pensano: ah, mio Dio, la vita è passata e non l’ho vista…E’ una caratteristica di tutte le donne albanesi, dal nord al sud, da est a ovest, delle contadine come delle donne di città, delle operaie, giornaliste, dottoresse o scienziate. Dal momento che vengono al mondo, sentono quella parola così antica: sacrificio. (…)
Diana Ciuli
In C. Gerardi “Le figlie di Teùta”
Delle foto albanesi di Caterina Gerardi mi ha colpita prima di tutto il modo in cui le donne che vi compaiono guardano dritto negli occhi chi a sua volta le guarda…….
…..Caterina non si è servita della sua macchina per incamerare dall’esterno pezzi di realtà , ma per mettersi e metterci in comunicazione con donne giovani e anziane, sole e in gruppi. Proprio perché non sono costruite come un repertorio che documenta la durezza della vita delle donne nelle zone interne dell’Albania, le sue foto risultano tanto suggestive e il suo linguaggio tanto incisivo……..
…..I rapporti sempre più intensi tra “native” e “migranti” che i grandi fenomeni di spostamenti in corso stanno producendo ci dicono che il terreno da praticare insieme, nei paesi più ricchi e in quelli più poveri, è quello dei cambiamenti radicali dei modi di vita, delle gerarchie di valore, dei rapporti di potere. Ma le “visioni alternative” che stanno scaturendo dal lavorio di tante donne in tutte le parti del mondo non possono essere disegnate in astratto; richiedono che ciascuna si renda conto di come altre vivono e agiscono. La premessa necessaria è incontrarsi e guardarsi come soggetti che entrano in relazione; perciò le foto di Caterina mi sono parse tanto suggestive…….
Elisabetta Donini
in C. Gerardi, Le figlie di Teùta
….. Qui la macchina fotografica, mezzo di registrazione, è alla ricerca di interpretazione, e la fotografia non è strumento asettico e contemplativo, ma è l’incontro tra due tensioni emotive, quella interna e quella esterna. Per renderle partecipi entrambe, Caterina si serve delle distillate atmosfere del bianco e nero, dove gli espedienti tecnici sono ridotti, e ciò che conta è la sfolgorante realtà di uno sguardo o di un gesto, la ricchezza pregnante di un particolare……
……La presenza di una sorta di “spazio scenico”, nel pur minimale racconto fotografico complessivo, non ammette il pittoresco del vedutismo o del “colore locale”: la lettura è rigorosamente ambientale-antropologica. Si sente il sapore neorealista di certe immagini di Pinna o di Scianna…….
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Marina Pizzarelli
In C. Gerardi, Le figlie di Teùta
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(…) Come operatrice visiva Caterina aveva privilegiato spesso l’animato, lo spazio fisico, l’effimero; aveva fotografato, con acume puntiglioso e ironia implacabile, trasgressione e degrado: il vuoto dopo il passaggio dell’uomo.
In questo suo nuovo viaggio, l’impatto è diretto, la “cosa” è un essere umano concreto, è la donna…..
..Un filmato non avrebbe potuto avere la forza di uno solo di questi stupendi ritratti di donna privi di retorica, quella arcaica regalità nella miseria, la loro malinconia sconfinata.
E’ una lezione di fotografia il lavoro di Caterina Gerardi; ed insieme un segnale bruciante, alle soglie del Duemila, che costringe ad interrogarci sul significato di “progresso”, sulla devastazione delle risorse naturali, sui (pur tanti) frammenti di vittorie umane che non riescono ancora a ricomporsi in armoniosa unità.
Annamaria Contenti
In C. Gerardi, Le figlie di Teùta
(…) le fotografie di Caterina Gerardi, propongono immagini inquietanti. Colpiscono come un affondo pesante che uccide retoriche solidarietà e buonismi impagliati.
(…) Si capisce ampiamente che Caterina Gerardi ha instaurato un dialogo con le donne da lei fotografate e non perché ogni buon manuale di fotografia lo consiglia, così come consiglia di non interrompere la conversazione durante le risposte, ma perché la sua professionalità nell’insegnamento, non inferiore a quella di fotografa, le consente un facile accesso nell’impervio terreno della traduzione e trasmissione dei saperi, delle culture, della realtà dell’arte e della vita.
(…) Bianco e nero: l’autrice, con pazienza, fotografa, sviluppa, stampa eseguendo da sè tutti i passaggi, nella ricerca difficile di tradurre mentalmente i colori dei suoi soggetti in un processo di astrazione che si concede solo ai toni e alle ombre a volte drammatici e a volte lievi del grigio (…)
Marisa Forcina
In “ Leggere Donna “
Un silenzio quasi sapienziale accompagna il percorso fotografico compiuto da Caterina Gerardi, dove il tempo interiore diviene il filo conduttore di un camminamento nel grembo della fotografia, alla ricerca di un incontro insolito con “Le figlie di Teùta”. Un percorrere, toccare, sfiorare con intenzionalità le impercettibili tracce mnemoniche, i segni del linguaggio dell’altro.
(…) I luoghi che Caterina visita sono molto spesso luoghi cui la storia nel suo scorrere ha voltato le spalle, luoghi in cui sembra essere rimasta solo perdita, lutto, spesso le cicatrici di uno sviluppo economico perduto. (…)
Teresa Romano
In “Il Corsivo”
(…) è difficile tacere sul paradosso sollevato da una mostra di Caterina Gerardi, foto esposte nel castello di Otranto: “Le figlie di Teùta”, ricerca sociale sulle donne albanesi.
Non le ragazze che battono i viali, schiave di magnaccia dalla mano robusta. Ma donne che dall’altra parte del mare subiscono la stessa umiliazione: sempre “proprietà” di un mondo maschile fermo al Medioevo.
Immagini dall’aria talmente sconsolante da far pensare: non può essere vero. Ho preso il battello per andare a vedere. Purtroppo la cronaca della Gerardi è lo specchio del disastro umano. Le fatiche di una società senza niente la sopportano solo loro. (…)
Maurizio Chierici
In il “ Corriere della Sera”
(…) Queste fotografie potrebbero facilmente indulgere ad una sorta di epopea realista di ritorno. E certo, a prima vista, le immagini sembrano ricondursi al grande filone di cultura fotografica socio-antropologica che in Italia va da Sandro Pinna a Uliano Lucas. Ma l’appartenenza, o meglio contiguità, è piuttosto di ordine etico-politico che linguistico. Nasce da una cultura “alternativa”! e da una sensibilità femminista. Per la Gerardi, infatti, è questa la prima esperienza di reportage. I suoi interessi erano orientati invece su una fotografia concentrata su spazi del silenzio e del segreto, su strutture primarie e povere ( per esempio la serie “Dietro le gelosie”, 1993). Questa scrittura rallenta la narrazione, la dilata in “tempo fermato”.
Non racconta azioni, presenta personaggi dentro essenziali rapporti spaziali di grigi con barthesiana intensità dello sguardo. Così i volti delle “figlie di Teùta” ci parlano silenziosi: ci sfidano a un confronto di identità, un destino comune fra le due sponde dell’Adriatico.
Pietro Marino
In “La Gazzetta del Mezzogiorno”
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*LULI FIORI D’ALBANIA
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(…) L’obiettivo della Gerardi ha immortalato questa volta il fiore del mio popolo, la generazione che progetterà e costruirà sicuramente un futuro migliore per la mia Albania, sofferta ma fiera.
(…) Nella vita di un popolo ci sono molti zig zag, ma una cosa è sicura: la strada sarà ascendente. E Caterina questo l’ha capito dagli occhi intelligenti e pieni di peranza dei bambini che ha fotografato. Oltre ai piedi scalzi e i visi non curati, oltre alle sigarette o alle scarpe che lustrano, oltre ai capelli spettinati e ai vestiti strappati, lei ha visto le scintille dell’intelligenza, della fiducia e della determinazione di questi bambini trasmettendoci così il grande messaggio della speranza
per tutti noi.
Zamira Ciavo
In C. Gerardi “Luli fiori d’Albania”
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(…) Queste fotografie che mi parlano di figli dei vicini di casa mi aiutano a scoprire la pentola della mia città e a riflettere sulla condizione di vita dei nostri ragazzi.
(…)Da scippolandia alle città dei baby killer. Lo spettro lontano delle favelas. Se non siamo a quelli livelli, siamo pur sempre di fronte a una realtà difficile da controllare, da sopportare, da vivere.
(…) Ma per fortuna la Gerardi ha ancora cuore e occhi per la tenerezza, cuore e occhi per l’umano e se ti porta nelle case divorate dalla miseria e ti mostra genitori e figli, se ti proietta tra nidiate di ragazzi in posa davanti alla pianura di sterpi sembra voglia infonderti coraggioe dire che nonostante tutto la vit va avanti, anche nei luoghi dove essa sembrerebbe negata e dove le ore del giorno sono ancora costellate di infinite difficoltà.
Raffaele Nigro
IN C. Gerardi “ Luli fiori d’Albania”
La Mostra fotografica di Caterina Gerardi, con l’intensità dei messaggi espressi dai volti e dagli sguardi, costituisce una nuova occasione per continuare la costruzione del ponte di solidarietà sull’Adriatico, nella prospettiva che i ragazzi e giovani, pugliesi e albanesi, lo percorrano per realizzare fecondi scambi culturali nell’ottica della reciprocità.
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Reno Sacquegna
Il Presidente del C. R. Puglia per L’Unicef
In C. Gerardi “Luli fiori d’Albania
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*PASSWORD
Le porte di accesso a un mondo di reti globali che dal sottosuolo delle città raggiungono le stelle
Per Caterina Gerardi il tombino è un pretesto formale, una sfida e una ricerca per mettere a fuoco la bellezza, cercandola in un luogo comune di antipatica bruttezza.
(…) I suoi tombini, come l’orinatoio trasformato in “Fontana” da Duchamp, sono ready-mades e viatici per accedere ai sotterranei dell’arte.
(…) Le sue fotografie non appartengono ai generi né amatoriali, né pubblicitario, né cinematografico, ma trattano immagini d’élite, cioè arte.
(…) Password presenta tutte fotografie in bianco e nero di forme immaginarie sfumate dalle colorazioni emotive dell’autrice: sono la chiave di accesso per dimensioni virtuali.
(…) Il suo linguaggio fotografico è autonomo, non dipende dal dato reale, piuttosto
è una verifica di stile.
Jacqueline Ceresoli
In C. Gerardi “Password”
Un bellissimo fotolibro: ottime le fotografie, eccellenti i testi, geniale la scelta delle citazioni, esemplare la stampa e la confezione. So che l’abbandonarsi a questi entusiasmi stona con l’età che mi pesa: capita quando mi sento l’autore delle fotografie di un altro.
(…) Bisogna ammirare le immagini dei “password” riprese da Caterina Gerardi non solo come opere d’arte ma come le reificazioni di una parola magica.
(…) Caterina Gerardi nemmeno s’immagina come rimbombano le sue fotografie: il ricordo di una vecchia fonderia di Genova, l’Ilva di Bolzaneto, specializzata in “password”: era scoppiata la guerra, venne bombardata prima delle consegne: certe lastre erano incise a risparmio con caratteri russi, altre con caratteri greci in rilievo, altre con sigle tedesche
(…) Danno emozioni ancor vive i graffiti rupestri di ventimila anni fa. Le immagini di Caterina Gerardi daranno vive emozioni a chi conosce la storia per mille anni. (…)
Ando Gilardi
In “Progresso Fotografico”
(…) Nessuno prima di lei, aveva diretto con tanta lucidità la propria attenzione su questi oggetti che stanno a guardia delle aperture dove il caotico mondo della superficie entra in contatto con quello segreto del sottosuolo. E’ proprio la precisione e la determinazione di questo sguardo che costituiscono l’assoluta originalità del lavoro della Gerardi, almeno nel panorama della fotografia italiana.
Paralleli significatigi possono, invece, essere trovati – oltre che una certa fotografia americana alla Ed Ruscha – con quella dei coniugi tedeschi Becher per il loro costante interesse per l’archeologia industriale. (…)
​
Franco Vaccari
In “Quotidiano di Lecce”
Un’artista che ha sempre narrato con le sue fotografie e i suoi video l’immaginario piuttosto che il visibile: dall’Albania alle carceri di Lecce, dai porno-graffiti obliati nell’immediata periferia urbana alle sculture cimiteriali di donne atteggiate nella cura dei sepolcri maritali. Rina Durante era solita dire che la Gerardi aveva scoperto come raggiungere la fama guardando in basso, piuttosto che rivolgendo il naso al cielo. Ora, sono proprio i tombini fotografati da Caterina Gerardi in innumerevoli città d’Italia e d’Europa a esser protagonisti della mostra che s’inaugura a Trieste il prossimo giovedì (29 luglio, ore 19 – Sala Fittke…]
[…“Sono sempre stata una persona curiosa – racconta di sé Caterina Gerardi – e, non senza fatica, ho ricercato l’altro volto della realtà che i più dimenticano di guardare…]
[..Anche i tombini sono porte d’accesso a un’altra città, quella sotterranea attraversata da fibre ottiche, tubi e cavi d’ogni genere, mediante i quali la maggior parte di noi può permettersi di condurre una vita comoda e agiata…]
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Eliana Forcignanò
In “Quotidiano di Lecce”
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[…“Il tombino è un piccolo oggetto d’arredo urbano, poco considerato e calpestato da tutti ma è la porta di un mondo sotterraneo e a me, l’altra faccia delle cose ha sempre attratto molto”. Esordisce così Caterina Gerardi, autrice della mostra “Password” inaugurata giovedì 29 luglio nella Sala Fittke in Piazza Piccola a Trieste; una serata di pioggia e fulmini che tuttavia non hanno impedito l’apertura ufficiale della personale dell’artista nata a Lecce…]
[..Delle sue fotografie, analogiche anche nella stampa, l’estetica è sicuramente la prima cosa che colpisce l’occhio attratto dalle forme geometriche dei tombini, dal gioco di incastri metallici e figurativi, dalla sintesi grafica di decine di chiusini provenienti da varie città d’Italia e da alcune città della Germania e della Grecia…]
[…Una riflessione sul presente ed un campo visivo concentrato sulla cultura urbana, i tombini dell’autrice “ci obbligano a sostare, invece di finestre aperte, sono porte chiuse che ci trattengono sulla soglia”, riprendendo le parole di Franco Vaccari.
Elisabetta Batic
Giornalista Il Gazzettino – Trieste
Caterina Gerardi in questo suo nuovo lavoro, guarda nella città dove solitamente gli altri non guardano e rileva degli oggetti estremamente interessanti.
Il lavoro di Caterina ha attratto il mio interesse, di urbanista che osserva le città e le cose che adornano le città…]
[…Gli oggetti della città rappresentano, a mio parere, gli elementi caratteristici che rendono la città degna di attenzione. Ritengo che i tombini, nella letteratura degli oggetti che caratterizzano l’arredo urbano, compaiono sovente, così come in questo lavoro di Caterina Gerardi e si aggiungono alle fontane, alle edicole, alle fermate delle metropolitane: penso per esempio a quelle francesi o inglesi, in alcuni casi straordinariamente belle. Recentemente a questi oggetti si sono aggiunti anche i vespasiani sui quali si comincia a riflettere per cercare di capire in che modo sia possibile riproporli nella città contemporanea…]
[…Itombini rappresentano qualcosa di particolarmente interessante poiché ci invitano ad osservare la città da un altro punto di vista, quello che Cerasoli indicava come il più difficile perché, guardando verso il basso, ci porta a “sbattere” contro gli altri passanti…]
​
Totò Mininanni
Presentazione Catalogo e Mostra
Castello Aragonese di Otranto (Le)
*SCIUIA SCIUIA (poco poco)
Fotografie dal Marocco di Caterina Gerardi
(…) Due viaggi in Marocco, accompagnata da una guida esperta, sono solo un inzio per la fotografa socio-esploratrice Caterina Gerardi. Le foto presentate sono i primi “accordi” della sua macchina fotografica con la realtà del paese. Per questo battezza” questa raccolta fotografica sciuia sciuia “poco poco”. Ma con quale leggerezza coglie la cinesia di ogni individuo! In questo taccuino di viaggio marocchino il suo accreditamento artistico sta nell’intenso calore umano degli sguardi/scatti fotografici che più che “far sapere” fanno incontrare direttamente le persone, pur sempre da stranieri.
Questi incontri e visioni, quasi prevalentemente all’aperto, in bianco e nero, veloci come un saluto, sono ambientati nelle zone berbere, urbane o rurali, montane o predesertiche del Marocco (…)
​
Patrizia Sterpetti
In C. Gerardi “Sciuia Sciuia”
*LA CITTA’ ULTIMA
Storie e immagini del Cimitero di Lecce
(…) La fotografia mostra, non dimostra. Il pensiero del fotografo, il suo sentimento della realtà è determinato dalla scelta di ciò che cade sotto i suoi occhi, da come isola i particolari, da come li compone. E’ questo che poi viene chiamato stile, visione del mondo. E’ evidente, dunque, che è molto importante per un fotografo avere a che fare con luoghi del visibile che già per loro natura sono carichi di senso, di tracce di tempo, di quasi evidenti metafore.
Dalla scelta di questo tema e dal modo in cui lo ha affrontato, Caterina Gerardi ci mostra di averlo capito bene.
​
Ferdinando Scianna
In C. Gerardi “La città ultima”
​
(…) E mi piacciono i cimiteri, come a Caterina, che ci è entrata col piglio della vita, senza temere i silenzi della morte, anzi riempiendola di vita, perché lei sa, come sanno le donne, che ci sono le stagioni della terra e quelle delle persone e che per non essere sterili bisogna essere generosi di vita, e quindi rischiare, ovviamente, di morire. “Polvo seré. Mas polvo enamorada”. E questo voglio come epitaffio, è di un uomo Francisco de Quevedol. Ma più che un uomo era un poeta.
Rosella Simone
In C. Gerardi “La città ultima”
(…) Qui la folla dei visitatori sembra insinuarsi dappertutto, di cappella in cappella, di tomba in tomba, rievocata in bianco e nero con ossessiva ripetitività come frammenti di fotogrammi cinematografici provenienti dal neorealismo italiano, ma anche dai metafisici spazi di Antonioni.
(…) Il suo gusto è quello di narrare. Ti spinge a divagare da scatto a scatto fino a farti fermare l’attenzione su un dettaglio, su una figura che, ammiccante, sembra quasi volerti chiamare in scena: …
(…) Tutto sembra fissare l’istante di una casualità.
Ma come sempre succede per i fotografi più avveduti, per quelli che non sono solo fissatori di istantanee, non c’è casualità, ma attenzione alla ricerca narrativa.
​
Antonio Cassiano
In C. Gerardi “La città ultima”
​
(…) E certo è significativo, e coerente col suo percorso e col suo stile, che abbia scelto un luogo di morte anziché un luogo di vita. Ma la sua rielaborazione fotografica è contrassegnata proprio da un intento di vita, da una volontà di esaltarne la vitalità.
(…) E però non è solo la scelta e il taglio del soggetto, ma il gioco della luce, il chiaroscuro che tanta forza prende dal bianco e nero, prediletto da questa fotografia, il particolare comporsi di luce ed ombra, il prevalere per lo più morbido della luce. Come della vita.
Arrigo Colombo
In C. Gerardi “La città ultima”
​
(…) Per Caterina la bellezza (purchè non la si consideri come luogo comune) è celata ovunque, è oltre l’apparenza e non risponde ai canoni classici: è possibile rintracciarla nel degrado delle periferie e in quella cinta ancora più dimessa che è tra la periferia e la campagna; è possibile leggerla nei volti segnati della gente d’Albania, della Jugoslavia, del Marocco. E persino nei disegni dei tombini delle fognature (Password).
Questo percorso borderline ricerca confini sempre più estremi: ed ecco l’indagine fotografica su un luogo tabù per eccellenza, il cimitero. (…)
​
Marina Pizzarelli
In “Qui Salento”
​
*VERSO SUD
Salento d’acqua e di terra rossa
Volume + DVD
(…) Il Salento è un’entità estremamente concreta ed estremamente definita, che si può percorrere e conoscere, e “gustare” per breve tempo o per molto. Ma non è solo terra di transito: è terra di ritorno. Gli occhi degli altri sono indispensabili a comprendere un luogo, anche per chi vi è nato e non ne è mai partito. Ma non possono essere quelli del turista che non si ferma, che non cerca, che non penetra e non si fa penetrare. Il Salento esige attenzione, continuità, scavo. Esige ritorno. E solo allora regala un po’ della sua verità e non solo della sua bellezza, a chi sa rispettarlo, ascoltarlo. Nel Salento bisogna venire stare tornare. Spesso, non solo in estate. E dico Salento, non Lecce perché le capitali, quanto a composizione economica e umana, si somigliano ormai tra loro anche troppo.
​
Goffredo Fofi
In “Verso Sud”
​
(…) I colori squillanti, il silenzio misterioso della controra, il limio delle cicale, i panorami di una terra al limite dell’Africa ma che ha le comodità del mondo moderno e l’abbandono del paesaggio selvatico, tutto questo spingono molti a cercare Finisterre, il luogo dove il continente finisce e inizia il Mediterraneo. Ma c’è chi, come Romana Petri, corteggiata da un’atmosfera di misticismo, racconta che al mattino, svegliandosi in una masseria salentina, le capitava di confondere quella terra per un angolo della Palestina. Se fosse apparso Gesù in compagnia dei discepoli, magari da dietro un muretto a secco o da una collina di sterpi, non si sarebbe affatto meravigliata, tanto era l’incanto di quelle pietre e il silenzio delle campagne.
Raffaele Nigro
in “Verso Sud”
…La qualità del racconto e delle immagini di “Verso Sud” sta nella capacità di restituire il senso del viaggio e le motivazioni profonde di una scelta di permanenza in una terra che, come ci ricordano le autrici ha il sapore dell’oriente e la facilità del mondo moderno, luogo elettivo dell’esistenza e fonte profonda d’ispirazione.
Il viaggio, raccontato anche da un DVD realizzato da Caterina Gerardi, restituisce l’amore per una terra solare e nello stesso tempo malinconica, luogo di silenzi e di stimoli creativi. I personaggi di questo racconto, tra cui alcuni scomparsi, vivono in masserie immerse nella campagna o in case affacciate sulle scogliere a contatto con una natura intensa e vitale e intrecciano i sapori della vita con quelli dell’arte.
Marinilde Giannandrea
In “Nuovo Quotidiano di Puglia”
C’è un libro in giro, tiene dentro un Salento autentico, integro nella sua vocazione di “terra di mezzo”, di arrivi e partenze. Di soste.
Un Salento che porta nomi di “stranieri” custodi di bellezza… Un libro da acquistare, conservare e contemplare: monito al “come si fa” ad amare una terra, farla divenire patria d’elezione della propria creatività, di relazioni e di proponimenti.
Un itinerario insolito e per molti versi sorprendente quello che la fotografa salentina sviluppa in questo suo nuovo progetto di reportage. La comunità degli artisti ed intellettuali che hanno eletto il Salento a loro residenza creativa. Italiani, inglesi, tedeschi, belgi. Una galleria di personaggi – discreti, capaci ancora di pudore, riservati – che con il loro fare nutrono silenziosamente la cultura contemporanea della nostra terra. Una genia quasi, non di figliolanze ma di sodali (…)
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Mauro Marino
In “Il Paese Nuovo
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*Nella Casa di Borgo San Nicola.
Con le donne nel carcere
Libro+ DVD
[… Guardare il video, Nella Casa di Borgo San Nicola, di Caterina Gerardi, ascoltare le donne incarcerate lì ha suscitato in me sentimenti contrastanti, momenti di scoraggiamento e di rabbia. Sono ormai passati oltre sette anni da quando ho lasciato il carcere di Rebibbia, e la sua sezione di massima sicurezza, e udire le donne descrivere le loro condizioni è capire che negli anni trascorsi i problemi fondamentali non sono cambiati. È forte la sensazione di stasi, della quasi impossibilità di modificare le condizioni quotidiane, di identificare percorsi di riabilitazione innovativi e realisti…]
(…) Solo le detenute, con la solidarietà di coloro che le appoggiano, possono cambiare questo atteggiamento, e lo devono fare acquistando consapevolezza del loro essere donne, oltre che madri e spose. Perché il carcere non è un parcheggio dove si vive la ‘morte civile’, come mi ha detto un giorno un’altra detenuta, ma un luogo di resistenza, dolore, crescita e cambiamento che sta a noi rinchiuse lì utilizzare.
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Silvia Baraldini,
ex detenuta politica negli Stati Uniti
In “Nella Casa di Borgo San Nicola”
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[… Proprio di fronte alla pericolosissima minaccia antidemocratica della criminalità organizzata di stampo mafioso occorre ribadire l’importanza della gestione democratica delle istituzioni. In modo non solo formale, ma sostanziale. Ha ragione la direttrice del carcere quando sottolinea la priorità della sicurezza. Ma questa riguarda, forse, innanzitutto la certezza della pena, sulla quale molto sarebbe da dire. Una volta reclusi i condannati, la società – e chi è demandato per amministrarla – ha il dovere di garantire, sempre nei termini della legge, i diritti anche per coloro che hanno mostrato di non rispettarli affatto quando erano diritti di altri…]
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Renate Siebert,
sociologa dell’Università della Calabria
In “Nella Casa di Borgo San Nicola”
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(…) Il film di Caterina Gerardi ha, tra gli altri, il pregio di mostrare uno spaccato del tutto originale sulla situazione delle carceri al femminile: le detenute intervistate sono tutte italiane e sono recluse in una sezione di Alta Sicurezza, accusate di essere coinvolte in associazioni criminose insieme ai loro congiunti di sesso maschile, mariti, fratelli, conviventi. Scontano la pena in una struttura speciale con regolamenti speciali, non hanno nessuna possibilità di accedere alle misure alternative, niente permessi, niente affidamento in prova né semilibertà. Tuttavia le loro parole, la situazione che descrivono, i disagi e la latitanza di molti diritti, sono condizioni comuni a tutte le
donne recluse. (…)
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Paola Bonatelli, giornalista
Associazione Antigone
In “Nela Casa di Borgo San Nicola”
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[… Non è solo una testimonianza di vite “nella Casa del Borgo di San Nicola”, il film vuole essere ed è di più. Prende su di sé il carico di essere per le detenute un tempo di introspezione e di intelligenza delle personali vicende e si accredita progressivamente una fiducia fino a essere percepito come sostegno in un percorso che porta le donne che hanno aderito al film, da una voce intima a una voce sempre più esplicita nel guardarsi, nel giudicarsi, per poi guardare e giudicare il carcere, con una molteplicità di sfaccettature, punti di vista, atteggiamenti che testimoniano della verità del film …]
Carla Vestroni,
esperta di cinema italiano e inglese
In “Nella Casa di Borgo San Nicola”
[…Le donne protagoniste del bel documentario di Caterina Gerardi, realizzato con la collaborazione di Sandra del Bene e Rosamaria Francavilla e accompagnato da un volume con saggi e interventi di Silvia Baraldini, Paola Bonatelli, Renate Siebert e Carla Vestroni (Pensa Multimedia edizioni, 2008), ci offre, dunque, un’occasione unica di calarci totalmente, con uno sguardo di donna, all’interno di un universo femminile…]
[…Una scelta molto coraggiosa, quasi sovversiva - oserei dire - dal momento che sovverte totalmente, scompiglia quelle che sono solitamente le narrazioni e le analisi sul carcere: analisi, appunto, su qualcosa (un luogo fisico, ma anche simbolico), su qualcuno che lì si trova, suo malgrado, ad abitare (i detenuti e le detenute) o a lavorare (il personale penitenziario, gli educatori). Questa prospettiva basata sul ragionare su qualcosa, invece, viene ribaltata, restituendo protagonismo, dando letteralmente la parola a soggetti che solitamente sono costretti entro una dimensione di silenzio a rimanere muti, afoni, al di fuori, cioè, delle narrative e dei discorsi che pur li riguardano direttamente.
Queste donne, invece, parlano, e parlano in prima persona: esprimono le loro ansie, i loro problemi, i timori; raccontano di sé, delle proprie relazioni affettive e familiari, affrontano questioni complesse legate alla vita all’interno del carcere, ma soprattutto queste donne – in alcuni dei passaggi cruciali del documentario - affermano il proprio punto di vista, reclamano i loro diritti, urlano le proprie verità.
E buona parte della loro verità riguarda i motivi per cui, alla fine, si trovano a essere protagoniste di questo documentario: l’accusa e, in alcuni casi, la condanna, per associazione mafiosa o associazione finalizzata al commercio di droghe…]
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Monica Massari
Sociologa dell’Università della Calabria.
In “Nella Casa di Borgo San Nicola”
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Tre film a confronto sulla condizione carceraria e sulla “differenza di genere”
Tre film - “Nella casa di Borgo San Nicola”; “Spes contra spem, liberi dentro” e “Robinù” diversi tra loro, mi hanno suscitato uno stesso interrogativo: in quale maniera si manifesta la differenza di questi uomini e queste donne che hanno frequentato il male?
Che differenza c’è tra uomini e donne che vivono in carcere? Che differenza c’è tra uomini e donne che hanno frequentato il male?
Lo stato, la vita umana, la violenza, l’indifferenza, la morte, la giustizia, il diritto, la colpa, la pena. Ne parlano tre film, diversi tra loro per tempi e luoghi in cui sono stati girati e soprattutto per gli interrogativi che rimbalzano dall’uno all’altro.
Tuttavia, a me i film hanno suscitato un interrogativo che può apparire bizzarro: in quale maniera si manifesta la differenza di questi uomini e queste donne che hanno frequentato il male?
Provo a estrapolare intanto da Caterina Gerardi e dal suo Nella casa di Borgo San Nicola, tratto da un’indagine di Sandra del Bene, Caterina Gerardi, Rosamaria Francavilla ( diventato poi un libro per le Edizioni Pensa MultiMedia).
Caterina è fotografa sensibile. Nel raccogliere le aspirazioni e disperazioni delle detenute nella Sezione dell’Alta Sicurezza, accusate di reati legati al traffico o allo spaccio di sostanze stupefacenti, associazione, complicità con elementi legati alla malavita organizzata (Sacra corona unita), mette in scena mogli, sorelle, figlie di uomini già sottoposti a regime carcerario…]
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Letizia Paolozzi
In IL DUBBIO
quotidiano di informazione politica e giudiziaria
*COME VEDI TI PENSO
dal Monumentale di Milano - Parole e immagini
<<Ciascun punto di vista nuovo moltiplica il mondo>> (…) Questa volta a moltiplicare il mondo sono le donne di pietra di Caterina Gerardi, immagini capaci di stabilire un circuito visivo ed emotivo che permette di chiudere gli occhi per lasciare a ogni particolare di risalire da solo alla coscienza affettiva. Fotografie scattate alle statue femminili del cimitero Monumentale di Milano che dialogano con trenta voci di donne, protagoniste autorevoli del presente, «Ciascun punto di vista nuovo moltiplica il mondo» (…) Questa volta a moltiplicare il mondo sono le donne di pietra di Caterina Gerardi, immagini capaci di stabilire un circuito visivo ed emotivo che permette di chiudere gli occhi per lasciare a ogni particolare di risalire da solo alla coscienza affettiva. Fotografie scattate alle statue femminili del Cimitero Monumentale di Milano che dialogano con trenta voci di donne, protagoniste autorevoli del presente, libere di inventare e di seguire la propria ispirazione nell’incontro casuale con un simulacro, con un’idea di morte. (…) La forma artistica non si lascia restringere in un concetto, non può essere obbligata a produrre un senso o a servire un unico obiettivo, essa in questo caso risuona dell’eco plurale di trenta modi d’essere e costruisce un sillabo di emozioni nel quale il dialogo espande la dimensione temporale e colloca finalmente nel presente le immagini di una femminilità lontana e raggelata nella pietra.
Marinilde Giannandrea
In “come vedi ti penso”
In questo periodo si sono moltiplicate le iniziative editoriali che hanno come argomento le ultime dimore degli uomini …]
Si va da una raccolta di autoepitaffi di italiani celebri e non che, pensati quando si può presumere ottimisticamente di essere ancora lontani dall’ineluttabile, vengono espressi in toni autoironici, disincantati e ,soprattutto, privi di patetismi; [… Il libro di Caterina Gerardi Come vedi ti penso ,invece , pur basandosi su fotografie di statue del Cimitero monumentale di Milano, non nasce dallo sfruttamento dei facili effetti trompe-l’oeil come nelle documentazioni di cui si è detto, ma , intrecciando parole e immagini in modo inaspettato, è diventato un caso sorprendente di Narrative Art…]
[…Ad una trentina di donne, tutte in qualche modo impegnate a livelli alti nell’esplorazione delle problematiche del femminile e del genere, è stato chiesto un breve testo ispirato da una delle foto della Gerardi che le era stata spedita senza poterla scegliere…]
[…Ne è nato un testo polifonico che mi sembra esprima una situazione di fermentante complessità del mondo famminile e di sostanziale latitanza di quello maschile.
Franco Vaccari
In ”Il Paese Nuovo”
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Il libro mostra è una tappa significativa nel percorso di un'artista impegnata nella rivelazione sistematica di «mondi moltiplicati» (scrive in prefazione Marinilde Giannandrea, storica d'arte leccese): mondi marginali, dimenticati o rimossi, con protagonisti la gente come le cose.
Accanto alle serie dedicate al popolo e alle donne di Albania o ai berberi del Marocco o agli abitatori stranieri del Salento, ecco le indagini sui muri scrostati e graffiti, sulle persiane delle abitazioni, sui tombini stradali: sistemi segnaletici di occlusioni, sigilli di realtà nascoste, di spazi dell'oscuro.
Di qui il passaggio coerente dello sguardo sulla «città dei morti» (il Cimitero di Lecce, 2003) ed ora questa ricerca che prende le mosse dalle statue della necropoli milanese.
Scolpite tra fine Ottocento e primo Novecento con complessiva dignità plastica, compostezza austera che la fotografia della Gerardi esalta nel rigore amato del bianco e nero, mentre la stampa dell'album su carta opaca asseconda la malinconia dei grigi e del granito.
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Arrigo Colombo filosofo
Prof. presso Università di Lecce
Presentazione del libro
Convitto Palmieri Lecce
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[…Oggi, molti sono gli scrittori e di più coloro che hanno l’opportunità di fotografare, ma tra questi sono come le mosche bianche coloro che sanno ordinare per immagini le idee, i fatti …la storia!!!
In tale direzione il Nostro giornale propone la lettura di una delle opere di Caterina Gerardi, fotografa spesso presente nelle nostre rubriche, oramai nota non solo a Lecce, ma anche sul piano nazionale, per i suoi racconti per immagini, nei quali si cimenta da oltre trentacinque anni.
ça va sans dire che lettura che propone Caterina si pone ad un ampio ventaglio di lettori, dove i neofiti possono cominciare a proiettarsi in quest’esperienza, che di sicuro non passerà senza lasciare una traccia significativa. Il volume in questione è COME VEDI TI PENSO e si compone di 30 fotografie di figure femminili scattate nel Cimitero Monumentale di Milano. Trenta ritratti di pietra che parlano al cuore, direttamente al cuore. In ogni caso, per ognuno di questi v’è un brano letterario, ciascuno di un’autrice specifica.
Come scrive Chiara Zamboni nell’introduzione, “…questo libro vive del controcanto tra le immagini e i testi che le accompagnano, pagine di riflessione soggettiva sull’immagine assegnata, scritte da pensatrici che hanno attraversato il femminismo. Una sorta di Spoon River al femminile, un affascinante racconto per parole e immagini…”
Mauro Ragosta Articolista
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Caterina Gerardi abita nel Salento e un filo rosso lega i suoi lavori fotografici: visualizzare ciò che è in ombra per portarlo alla luce.
[…“I cimiteri mi turbano, mi attraggono, mi respingono – racconta – Del Monumentale conoscevo la fama, così un giorno ci sono andata.. Giravo tra i viali, Mi sono persa. E’ stato allora che mi sono accorta di una folla di statue di donne sulle tombe. Ciò che mi ha intrigato è stata la rappresentazione del femminile che ne usciva. Erano mostrate sempre in atteggiamento di accudimento, di cura, come se le milanesi, anche da defunte continuassero a fare i gesti considerati tipici della quotidianità di una donna. Uno steriotipo che mi ha contrariata.
Caterina inizia a fotografare, in bianco e nero come è nel suo stile, e poi nel cimitero ritorna una, due, tre volte…]
[…Il progetto nasce così: “volevo dare voce a queste statue attraverso donne in carne e ossa”…]
[…Ogni foto. Una trentina in tutto, viene spedita ad una persona diversa, e tutte accettano la sfida: scrivere un testo su ciò che quella immagine ispira. Nomi conosciuti nel mondo femminile come la scrittrice Lidia Ravera, la regista Alina Marazzi, l’astrofisica Margherita Hack, la giornalista Giuliana Sgrena, la poetessa libanese Joumana Haddad, solo per citarne alcune, si sono prestate ad una riflessione e tutto il progetto, foto e testi, è finito nel libro “come vedi ti penso” Ed. Milella, in vendita alla libreria delle Donne.
Anna Cirillo
Marmo Rosa
In la Repubblica – Cultura – Milano
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“Nello scenario della BID (Biennale Internazionale Donna) di Trieste la presenza della fotografa pugliese Caterina Gerardi fornisce un contributo di qualità e di spessore socio-antropologico con il progetto “Come vedi ti penso”. Un progetto complesso, materializzato in un libro - di cui solo alcune foto sono esposte alla Biennale - dove la fotografia diviene uno strumento per coniugare realtà disparate sul terreno del tema unificante: la morte. Si tratta infatti delle donne di pietra del Cimitero Monumentale di Milano, quelle in particolare scolpite nel primo novecento, illustrate ciascuna, nel libro, da un pensiero/racconto di note scrittrici contemporanee, nutrite dall’esperienza femminista. Un incrocio simbiotico di immagine e parola, alimentato da un’irriducibile emozione vitale – contrapposta alla morte - nell’incontro/scontro tra lo storico stereotipo femminile, avvolto dalla pietas, rappresentato dalle donne di pietra e la scrittura libera, sconfinata, fantasiosa, laconica, incisiva della femminilità attuale, maturata lungo il percorso, non ancora concluso, dell’emancipazione
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Maria Campitelli
Critico d’arte, giornalista
Magazzino26, Porto Vecchio
II Biennale Internazionale Donna di Trieste 2019
*L’ISOLA DI RINA. RITORNO A SASENO
Ci sono lasciti che la scomparsa di persone con cui abbiamo legami profondi ci affida, lasciti che lavorano in noi come una forma di congiungimento silente che sfida il tempo.
Il lascito di Rina Durante giornalista, scrittrice e poeta salentina, a Caterina Gerardi, fotografa, regista, salentina anche lei, è stato un luogo, un luogo speciale, l'isola di Saseno, in terra albanese
Dopo la morte di Rina nel 2004 per Caterina il viaggio all'isola non si è presentato
come impresa facile.
Caterina porta a compimento una spinta forse controversa, nell'animo di Rina,
il ritorno alla terra dell'infanzia.
Il film indica che l'irrazionale dentro di noi si traduce spesso in un agire anche faticoso, si presenta come una spinta profonda che ci sostiene e si conferma in noi. Così, non per volontà ma per una urgenza intima Caterina Gerardi, ha restituito nel film il racconto di un viaggio come un imprescindibile gesto a compimento di un percorso. Il passaggio dell'immagine dell'isola da Rina a Caterina, è migrata verso altre forme di comunicazione, le parole, le immagini de L'Isola di Rina. Narrando Rina la regista narra di sé, del suo turbamento di ricondurre l'isola che le ha lasciato Rina, magica nel ricordo, a l'isola che ha visto e di cui si è creata con il viaggio una memoria. La stessa isola, due diverse memorie a mantenere un legame.
Lindsay Anderson, che si è speso molto per un rinnovamento del cinema,
del documentario diceva “Il documentario è un ritratto della persona che lo fa.”
Carla Vestroni
esperta ti cinema italiano e inglese
In L’isola di Rina. Ritorno a Saseno
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“Saseno è stata per Rina il sogno di tutta la vita. Avrebbe voluto tornarci ed ha provato a farlo più volte, sempre senza risultato. Per me, dalla notte in cui Rina ci ha lasciato, è diventata un pensiero costante: dovevo a tutti i costi conoscere quel luogo mitico dove la mia amica aveva imparato ad amare i libri e il mare”. Con queste parole, la scrittrice e fotografa salentina Caterina Gerardi, ieri 15 maggio, in occasione della presentazione del suo lavoro letterario e documentaristico dal titolo “L’isola di Rina”, ha spiegato alla platea che riempiva la sala di Torre del Parco il senso più autentico della sua produzione. Un film e un libro, edito da Milella, per ripercorre le tappe dell’infanzia della scrittrice e amica salentina, seguendo il filo dei suoi racconti…]
[… Ci sono voluti tre anni per avere le autorizzazioni, perché a Saseno nessun civile è mai approdato. E poi, “attese snervanti, code infinite, giornate intere senza concludere nulla”. Poi, finalmente, nel 2010, arriva l’ok dal Ministero della Difesa albanese. Il progetto poteva essere realizzato e il sogno di Rina esaudito…]
[…Ed in quei luoghi, tra stradine sterrate, tratturi sconnessi pieni di cartucce e bombe di qualsiasi tipo, Caterina Gerardi, accompagnata da Rosella Simone e Ada Donno, è andata alla ricerca delle argentarie, delle ginestre, delle scorciatoie percorse da Rina e dalla sorella Pia per arrivare, alla “casa sul cucuzzolo”, oggi abbandonata e quasi distrutta, fatta di piccole stanze…]
Giuseppina Casciaro giornalista
In 20centesimi
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[…Si tratta di un docu-film e un libro, in lavorazione, in grado di dire la stagione estrema di una grande voce del nostro Novecento, ancora non adeguatamente conosciuta.
Così, l’isola di Rina è diventata l’ossessione di un’altra Caterina (la Gerardi, per l’appunto), che dal Salento è partita – dove la scrittrice tornò insieme alla sua famiglia, per stabilirsi a Melendugno, a ridosso della seconda guerra mondiale – dopo aver inseguito per tre anni la concessione del permesso per visitare Saseno due volte…]
[…” Pia, la sorella novantenne della scrittrice Rina Durante, ha raccontato a Caterina Gerardi tutto quello che ricorda della casa sull’isola, una sorta di cartografia dello spirito affidata alla bussola della regista…]
[…La tenacia di Caterina Gerardi non può passare inosservata, alla fine la sua ricerca dell’isola l’ha portata in riva alla stessa Rina Durante. La regista tornando dal suo viaggio, infatti, ha scoperto che: “L’isola le assomiglia e lei assomigliava all’isola, per via della difficoltà di scoprirla, per la bellezza delle cose essenziali, il mare, la luce, la vegetazione. Questa sensazione di libertà che la attraversa come vento che entra in ogni cosa. Alla fine di tutto, per me l’isola è Rina. L’isola è il suo ritratto”.
Luisa Ruggio
In SalentoPoesia:scritture e visioni.
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Il lavoro di Caterina costituito da uno splendido film-documento L’isola di Rina. Ritorno a Saseno, titolo che è anche del libro che ha scritti-testimonianze della stessa Rina, di Caterina, di Ada Donno, Rosella Simone, Diana Chuli, Tatjana Kurtiki, Luisa Ruggio, Daniela Grifi. Metto alla fine Pia Durante, sorella di Rina, perché ha anche un ruolo importante nel documentario di cui si parlava prima.
Se Rina fosse ancora viva, potrei dirle: “Cara Rina, solo ora “so tutto di te”, grazie a Caterina e al suo lavoro. E, con quella documentazione, non solo io ti conosco a tutto tondo ma ti potranno conoscere tutti.
Il lavoro fatto da Caterina Gerardi di memorie (non in memoria) pone un punto fermo sulla scarsa letteratura che è disponibile oggi sulla intellettuale salentina. Il filmato “Ritorno a Saseno”, che cuce immagini rare (quelle dell’infanzia di Rina) con immagini della contemporaneità, amplia anche dal punto di vista qualitativo e documentaristico l’archivio della memoria. Le voci che ascoltiamo sono quella di Rina, di Caterina, di Pia.
Ne esce un quadro abbastanza ricco e puntuale che si confronta con le memorie di alcuni di noi. E quella bambina di Saseno è rinata in quest’opera composita di Caterina, donna vulcanica e creativa che io conosco dagli anni ’60.
Giovanni Invitto
docente di Storia della Filosofia
presso l'Università di Lecce.
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AA.VV, L'isola di Rina. Ritorno a Saseno (Milella, Lecce, 2013) nasce insieme all'omonimo video di Caterina Gerardi. Il film dedicato all'amica Rina Durante è allegato in dvd a questo volume, dalla regista fortemente desiderato…]
[…Quest'isola che ha visto quindi molti passaggi di proprietà, è stata per Rina il luogo dove più sognava di tornare e che le fu interdetto, per tutta la vita. Solo dopo la sua morte l'amica Caterina ricevette l'autorizzazione a recarvisi…]
[…E le immagini fermano scorci degli edifici fatiscenti che testimoniano di quel passato abbandonato al nulla, rappresentativo di passaggi di storia, non così lontana. Sono immagini che viene voglia di riguardare perchè contengono, nella loro asciutta rappresentatività del presente, lo struggimento della sua ricerca per ridare all'amica scomparsa il luogo dove aveva passato l'infanzia, “disciplinata e selvaggia, libera e prigioniera”…]
[…E' da queste immagini che avvertiamo l'affabulazione dell'incontro emozionante con l'isola, dell'amicizia con la scrittrice, della storia di sé che Rina le ha raccontata. Una narrazione difficile, poetica ma affatto immediata che ci spinge a guardare sempre più da presso che cosa Caterina Gerardi ha voluto trasmettere facendoci ascoltare contemporaneamente, la testimonianza di Rina Durante e della sorella Pia. Le une, le parole, dunque, non possono stare senza le altre, le immagini.
Donatella Massara
Presentazione del libro/documentario
Libreria delle Donne - Milano-
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Un'isola non c'è se non la vedi. Poi cominci a pensarla, ti ingegni ad andarci e allora l'isola esiste. È Saseno, l'isola dell'infanzia di Rina Durante, scrittrice, intellettuale salentina che Caterina Gerardi, fotografa documentarista vuol trovare per dare forma a quei primi anni selvaggi, immensamente liberi ma anche "ubbidienti" dell'amica.
Il valore aggiunto di questo film è l'aver saputo comunicare l'emozione ma anche lo spaesamento di una donna in cerca dei segni dell'altra che sente come una viva parte di sé. È regista e ne ha gli strumenti: ripresa dopo ripresa, li rintraccia.
Nel film di Caterina l'isola c'è, e c'è anche uno spaccato di poesia nello stile asciutto, scabro che le appartiene.
Rosaria Guacci
Collaboratrice editoriale
Presentazione del libro/documentario
Libreria delle donne – Milano
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[…L’isola di Rina. Ritorno a Saseno è essenzialmente un progetto e un documento, più che un’opera. Intendo dire che tratta di legami significativi, familiari ed amicali, e di legami con la terra natale e con la patria d’adozione, tratta della memoria e dei ricordi, tratta di legami fra Stati e di conflitti fra Nazioni e quindi parla di guerre, e tutto questo Caterina sceglie di non dirlo univocamente, ma coralmente: il lavoro è a più voci. Trattando di legami, tratta di relazione.
Il progetto è frutto a sua volta di relazioni…]
[…Di fronte a un bene tanto caro che la morte ti sottrae, e cosa più caro dell’affetto di chi ci ama?, il bisogno di riappropriarsi di qualcosa che sostituisca la presenza, il bisogno di possedere i ricordi come lascito esclusivo, è umano. Farsi erede unico, universale.
Caterina Gerardi ha invece condiviso, partecipato, dato voce ad altre. Ad altre donne… la sorella di Rina, Pia Durante; l’amica di entrambe, che ha passione civile e politica comune a Rina, Ada Donno; la giornalista che pure aveva pervicacemente rincorso i passi di Rina e s’era fatta strumento di testimonianza della sua viva voce che i più volevano far tacere prima che fosse tempo, Luisa Ruggio; le scrittrici e attiviste albanesi che invece conoscono Rina solo attraverso questo progetto, Diana Ciuli e Tatjana Kurtiqi; le scrittrici e giornaliste italiane Carla Vestroni e Rosella Simone. Non manca nemmeno lo spazio, nel libro, per le parole di testimonianza di Daniela Grifi, che ha avuto l’eredità di memorie familiari nell’isola di Saseno come Caterina l’ha ricevuta da Rina e quindi è anch’essa parte di questo coro, anche se altro non la lega a Rina Durante…]
Mariateresa Funtò
Presentazione del libro/documentario
Assessorato alla Cultura
Città di Galatone (Le)